Coltivare la propria dimensione spirituale e, in particolare, quella religiosa spesso richiede un notevole sforzo interiore. Ciò accade in special modo quando fiducia e speranza vengono, anche solo in parte, a mancare; in tal caso, spesso si tende a vivere la propria esistenza con minor soddisfazione. Per porre rimedio a questo tipo di disagio, occorre anzitutto lavorare su sé stessi, imparando a sfruttare a pieno il potere della fiducia e della speranza (anche) in senso cristiano.
Due concetti fondamentali
È bene chiedersi, in primo luogo, cosa si intenda per “speranza”; secondo l’edizione online dell’Enciclopedia Treccani, si tratta di un “sentimento di aspettazione fiduciosa nella realizzazione, presente o futura, di quanto si desidera” o, più in generale, “fiducia nell’avvenire, nella buona riuscita di qualcuno o qualcosa”. Da un punto di vista etimologico, ‘speranza’ trae origine dal latino “spes” che, a sua volta, riconduce ad una radice sanscrita (‘spa-’) il cui significato è “tendere” o “verso una meta”. Il concetto è quindi insitamente legato ad una qualche tensione, rivolta al raggiungimento di un obiettivo o la soddisfazione di un’aspettativa.
Anche Papa Bergoglio ha definito la speranza in questi termini, parlando di una “spinta nel cuore di chi parte […] per cercare una vita migliore, più degna per sé e per i propri cari”; in aggiunta, secondo il Pontefice, “avere un’anima vuota è il peggior ostacolo alla speranza”, e ciò accade quando subentra l’accidia e, di conseguenza, “le giornate diventano monotone e noiose, più nessun valore sembra meritevole di fatica”. Anche la speranza cristiana, di riflesso, è un sentimento di attesa fiduciosa “di qualcosa che già è stato compiuto e che certamente si realizzerà per ciascuno di noi”.
Abbiamo visto come alla speranza sia sottesa la fiducia, un sentimento leggermente diverso ma altrettanto importante. Il termine deriva dal latino ‘fides’ (da cui il termine ‘fede’), direttamente collegato al greco antico peitho (‘convincere’) ed alla radice sanscrita bandh– (corda, legame). A ben pensarci, quando si instaura un rapporto di fiducia tra due persone è come se entrambe condividessero un legame che li unisce.
Il valore della fiducia
Le Sacre Scritture abbondano di esempi in cui tale sentimento ricopre un ruolo cruciale; anche per questo, come scrive padre Stefano Bittasi, superare momenti di crisi “è possibile solo nella ricostituzione di legami connotati da fiducia” e facendo del domani “il vero motore delle scelte che si pongono in essere oggi”. Più in generale, la fiducia è ciò che alimenta la speranza in quanto ha in sé una innata componente di ‘fede’ che, citando frère Roger, non è altro che “un’umilissima fiducia in Dio”.
Più complesso, invece, è il concetto di ‘fiducia in sé stessi’, specie in relazione a quello di fiducia come radice della fede. In teoria, infatti, quest’ultima dovrebbe sempre avere un’origine spirituale (ossia scaturire da Dio); in concreto, però, spesso emerge un contrasto stridente tra ciò l’azione e l’aspettativa che ne scaturisce.
Facciamo un esempio ‘limite’: il gioco d’azzardo, preso in considerazione nella sua forma più umile (un mano di tombola a Natale oppure una scommessa piazzata di tanto in tanto su siti autorizzati come NetBet.it). Cosa c’è di male? In teoria, niente che possa considerarsi ‘peccato’; al contempo, si ripongono fiducia e speranza nel caso e nella fortuna, insite nella natura stessa del gioco. Se però lo si fa con serenità di spirito, senza avidità o cupidigia, non si contravviene alle Sacre Scritture, che condannano diffusamente l’amore per il denaro e la ricerca del facile guadagno. Il gioco, per via delle componente aleatoria, non può considerarsi certo come un’espressione della fiducia in sé stessi; allo stesso tempo, imporre a sé stessi la necessaria disciplina è un atto di fede verso la propria persona e, di riflesso, uno sforzo di avvicinamento al divino, in quanto fonte autentica di ognuno delle proprie capacità.